Artisti in Lucania

Valsinni



Isabella Morra

 

 

quasi sepolta viva
nella tetraggine del castello
di Favale,
ella ascende al “monte”,
per respirare, sulla sua cima,
un sogno di liberazione
che prende l’azzurro
dello Jonio.

A.Zaccone



Nel cupo e profondo Sud del cinquecento, una giovane donna viveva le tragiche conseguenze di una guerra europea, con la quale Francia e Spagna si contendevano l’egemonia del mondo. Erano i tempi di Francesco I e Carlo V. Un piccolo barone della provincia della Basilicata più interna, Giovan Michele Morra, signore di Favale (l’attuale Valsinni), sceglieva la causa della Francia, ma si ritrovava tra i vinti ed era perciò costretto a rifugiarsi a Parigi. Era il 1528. Nella lontana Favale, rinchiusi nel castello arroccato sulle ultime propaggini del Pollino, restavano la moglie e sette degli otto figli, tra cui la terzogenita Isabella, nata probabilmente intorno al 1516. Anima delicata e gentile, formatasi nella lettura dei classici e del Petrarca, Isabella vide inesorabilmente sfiorire la sua giovinezza nella bruta realtà del luogo e dei tempi. Non le restava che l’invettiva contro l’empia Fortuna e la disperata confessione della sua sofferenza, cui più tardi seguì la rassegnazione cristiana. Tra l’una e l’altra fase si collocarono momenti di laceranti illusioni e di speranze, che andarono tutte deluse, sicché non le rimaneva che cantare il proprio dolore attraverso la poesia. Ma fu proprio nel bel mezzo della trovata pace religiosa che, all’orizzonte della giovane donna, apparve la figura fascinosa del poeta spagnolo Diego Sandoval de Castro, sposato e padre di tre tigli, signore della vicina Bollita (attuale Nova Siri). Che tra i due poeti si sia instaurata una semplice corrispondenza letteraria, o che ci fosse una vera relazione amorosa, non si saprà mai. Quel che è certo è che la gente parlava e le dicerie giunsero alle orecchie dei fratelli di Isabella, tre dei quali, associando ai morivi di “onore” quelli politici, concepirono ed attuarono una sanguinosa vendetta. I primi ad essere assassinati, nell’autunno/inverno del 1545, furono Isabella Morra ed il suo pedagogo, scoperto, secondo una cronaca di famiglia pubblicata nel 1629, nel portare ad Isabella alcune carte di Diego Sandoval. Quest’ultimo veniva ucciso l’anno successivo, in un agguato tesogli nel bosco di Noia (l’attuale Noepoli). Quindi i tre fratelli ripararono in Francia.

La produzione poetica di Isabella Morra a noi pervenuta sta tutta nel Canzoniere, breve quanto intenso e diverso da tutti gli altri contemporanei. Esso, composto di dieci sonetti e tre canzoni, fu ritrovato secondo Benedetto Croce dalla polizia spagnola, tra le carte della giovane assassinata. La fama sopraggiunse ben presto, perché il nome di Isabella cominciò subito a circolare, "sexum superando", come dice il nipote Marcantonio, cioè superando i limiti e gli ostacoli legati alla condizione femminile. E se in seguito, per circa tre secoli, di lei poco si sentì parlare, oggi, riscoperta dal Croce, è riconosciuta come una delle voci più originali della lirica cinquecentesca italiana. Nei suoi versi, infatti, così "leopardianamente" veri, non c'è il mondo stereotipato e convenzionale delle Corti, bensì il vento e il rumore del Sinni, l'urlo delle ulule e quello dei boschi, in altri termini tutta la realtà di una contrada che, emblema della provincia meridionale, così drammaticamente isolata ed emarginata, fa tutt'uno col pianto di Isabella, in una dimensione che non è più individuale, ma suggestivamente geografica e sociale.

G. Caserta



…Ed io ho voluto recarmi nei luoghi nei quali fu vissuta questa breve vita e cantata questa dolorosa poesia; in quell’estremo lembo della Basilicata, di cui ci ha parlato il Lemormant, tra il basso Sinni e il confine calabrese, tra la riva del mar Jonio, dove verdeggia la foresta di Policoro, e il corso del Sarmento, che versa le sue acque in quel fiume: un pezzo della Magna Grecia e della regione detta la Siritide…
…ero tratto, come suole, dal desiderio di un più sensibile ravvicinamento ai casi del lontano passato per mezzo delle cose che vi assistettero muti testimoni, e che non sono, o assai poco, cangiate nell’aspetto, e sembrano svegliarne o prometterne la più vivace evocazione.

B. Croce